Qualsiasi ragazzo di quegli anni, che abbia frequentato, “il partito”nella nostra città,ha bene impresse le immagini rubate al tempo e fissate in quella foto scattata a Piazza del Popolo.
Di fronte ad una marea di cittadini ,sul palco sta parlando Gabriele Meligeni ed alla sua destra con lo sguardo attento e quasi austero: Pietro Ingrao.
In quella foto è ferma la Storia con i suoi “se” ed i suoi “ma”,che non ne costituiscono l’essenza,ma ricalcano i contorni e le possibilità che potevano avverarsi,e non sono stati.
Alla luce del “dopo” si possono definire meglio i riscontri obiettivi e le rovinose cadute dell’utopia di liberazione che per oltre mezzo secolo ha ispirato intere generazioni di italiani.
Alla luce della opacità del nostro tempo,quella foto consente di cogliere,quasi con incredulità la rassegnazione ad un destino tracciato dai parameri della nostra sconfitta e del trionfo del pensiero unico dominante.Che a dispetto dei cantori dell’allineamento all’esistente ,non è affatto la soglia invalicabile dell’umanità bensi la configurazione di rapporti di forza storicamente determinati in questa fase.
Pietro Ingrao era profondamente legato alla nostra Terra.
In clandestinità per sfuggire alla repressione del regime fascista,trovò rifugio ed accoglienza in pre-sila(Pedace),in un casolare di proprietà di un lavoratore che pochi anni dopo sarebbe diventato deputato:Cesare Curcio.
Strano a leggersi ,oggi ,che un lavoratore potesse arrivare persino in Parlamento.
Non fu l’unico,perché in quel “partito”fino a quando il senso d’appartenenza ad un’idea di liberazione collettivo rimase patrimonio condiviso,la differenza tra lavoro manuale ed intellettuale sfumava in quella idea di uguaglianza sostanziale tra esseri umani che avrebbe costituito la sfera di rapporti nella città futura.
Per incredibile scherzo del destino Pietro Ingrao divenne deputato per la prima volta proprio il 27 settembre!Un inizio che lo avrebbe portato,primo comunista, a presiedere la camera dei deputati a metà degli anni settanta.
Due lauree,coltissimo,fascino intellettuale ed incredibile profondità di pensiero,sensibile alla poesia ed alla letteratura,poeta Egli stesso,per anni è stato il riferimento di chi non ha smesso di “cercare ancora”.
La sua sconfitta a metà degli anni sessanta,nello scontro con un altro gigante,Giorgio Amendola, segnò profondamente la traiettoria politica del PCI.Oggi in maniera piu’ compiuta si coglie la forza dell’analisi di Ingrao,capace di cogliere prima di altri i mutamenti in corso nella società italiana e mondiale di quegli anni,che presupponevano un’apertura del partito, ancora ossificato sulle stantie liturgie di derivazione sovietica,alle nuove istanze di democrazia e partecipazione .Ed infatti due anni dopo quell’undicesimo congresso il mondo intero fu sconvolto dalla protesta giovanile del maggio 68.
Chiese scusa pubblicamente dei profondi errori in cui cadde ,sempre in nome di quelle liturgie,in occasione dell’invasione sovietica in Ungheria e per non essersi opposto alla radiazione del gruppo del Manifesto.
Era questo frutto di un conformismo quasi religioso , figlio di quella iniziale fase di obiettiva restrizione del dibattito cui era sottoposto il corpo del partito nelle fasi della clandestinità e della resistenza ,che tuttavia permeò la maniera di “stare dentro”con la sintetica opzione del “meglio avere torto con il partito che ragione da soli”.E di torto in torto ,astraendosi dalla realtà ed affidandosi al feticismo partitico,si è arrivati alla completa denaturazione ed infine all’abiura del senso implicito di quel Paese nel paese che non lottava affatto ,od almeno non solo,per “governare” ad ogni costo ,ma sulla base di valori ben differenti rispetto al dominio del mercato e del profitto,si riproponeva di mutare l’ordinamento sociale ed economico della società,con i valori espliciti della costituzione repubblicana. La traiettoria di questa profonda degenerazione è giunta ai risvolti impensabili dei giorni nostri.
Non a caso Pietro Ingrao fino alla fine dei suoi gironi ha continuato a dialogare con i giovani ed i movimenti ,arrivando a contestare da “sinistra” lo straordinario “Indignatevi”del quasi coetaneo Stéphane Hessel.
Scriveva Ingrao “Indignarsi non basta, bisogna costruire una relazione condivisa, attiva che poi la puoi chiamare movimento o partito o in un altro modo”.Appunto,la sua lezione rimane intatta e tocca alle generazioni che verranno agitare il sonno dei potenti con la stessa passione ed intensità che fanno di Pietro Ingrao un testimone straordinario della futura società.
I bellissimi versi di Bertolt Brecht ,scelti da Raffaella Bolini,presidente nazionale dell’Arci,rendono piu’ di mille parole il senso di una vita davvero degna di essere vissuta. “Nelle città venni al tempo del disordine, quando la fame regnava.
Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte, e mi ribellai insieme a loro.”
Sei riuscito a convincerci…
Grazie compagno Ingrao !
Angelo Broccolo Assemblea nazionale SEL