Non per prenderla alla lontano, ma tuttavia esiste realmente la responsabilità dell’uomo sul cambiamento climatico che ci ha ridotto a zona sub tropicale, sottoponendoci a climi sempre più estremi con precipitazioni e temperature alle quali noi ed il nostro habitat non eravamo abituati! E questo è tanto più vero se proprio uno dei maggiore responsabili di questi cambiamenti, Obama ha messo come obiettivo la riduzione dei gas serra addirittura per il 2020.
Proprio sulla scorta di questo clima estremo, qualche giorno fa, percorrevo in moto la strada provinciale che dalla stazione di Corigliano conduce a Schiavonea, il sole picchiava sodo, come appunto da qualche tempo suole ormai fare, improvvisamente entrai in un tratto di strada, purtroppo residuale, che è ancora accompagnata, a mò di tunnel, da un doppio filare di platani secolari, ed improvvisamente fui investito oltre che dall’ombra, da un piacevole flusso di aria fresca che mi ristorò il fisico e perchè no anche l’animo.
Mi venne così da pensare a quell’antico tecnico pianificatore, ed a quell’ incognito progettista di strade che fece piantare al bordo di quella che ancora era una semplice pista da pavimentare, le giovani piante di platani, messe a dimora per due motivi, che oggi ormai non interesserebbero più nessuno:
1) il beneficio rappresentato dall’ombra e quindi il riparo alla calura estiva, specie pomeridiana, dei futuri utenti di quella strada che percorreranno a piedi ( la maggioranza), piuttosto che col calesse o a cavallo, e persino in auto ai nostri giorni,
2) la funzione estetica di adornare il percorso dallo Scalo alla Marina, come più diffusamente veniva conosciuta la frazione di Schiavonea.
Oggi di quei platani ne restano solo pochi, pochissimi sopravvissuti, ad una superficiale conta non più del 10 % distribuiti in modo casuale e disorganico, residui di una decimazione sull’altare degli interessi dei proprietari dei vari lotti privati che sulla strada si affacciano, i quali, senza ritegno ed in epoche successive, ne hanno fatto strage, non rendendosi conto, poveri stolti! di aver tolto alle loro stesse proprietà un enorme valore aggiunto di qualità ambientale!
Mi scuso per il lungo prologo, ma serve per introdurre, credo, un concetto fondamentale che in urbanistica non sempre si coglie, il concetto della pianificazione territoriale e del tempo.
Quando si pianifica quindi si progetta per un territorio, non è come progettare un oggetto edilizio la cui realizzazione si sostanzia generalmente alla fine del processo progettuale, mettere mani sulla pianificazione di un territorio vuol dire prevedere cosa le scelte operate oggi produrranno da lì ad anni di distanza, non solo, ma salvaguardando quelle valutazioni e condizioni esistenti che vanno indagate e riconosciute, le quali pur fatte in epoche precedenti anche remote, sono state attuate per la difesa, tutela e la cura dello stesso.
Una delle cause della fragilità del nostro territorio sta proprio in questa nostra incapacità ormai consolidata di leggere questi segni e di preservarli come un tesoro prezioso per il nostro futuro.
Certo qualcuno potrebbe obiettare, ma non le sappiamo leggere o non le vogliamo leggere, magari perchè vanno contro alcuni interessi che oggi sono dominanti?
Probabilmente entrambe le cose coesistono, ma il risultato sta sotto i nostri occhi.
Noi possiamo progettare strutture ardite, utilizzare tecnologie ultra moderne, ma una regola non la possiamo contravvenire, quando modifichiamo l’assetto di un territorio, l’acqua che questo territorio ospita, per raccolta o emunzione sceglie una strada, e quella strada si scolpisce nella memoria di quel territorio e non la dimenticherà mai, potremo fare tutti i cambiamenti possibili ed immaginabili, credere di aver stravolto cambiato alla radice l’orografia la morfologia di quel terreno, eppure al momento giusto l’acqua troverà la sua antica strada! Questa è una legge ineludibile, ed allorquando viene infranta, è lo stesso territorio a ricordarcela, ricostruendosi e riconoscendo il suo antico percorso, passando su tutto e tutti, causando danni e lutti che poi siamo costretti a registrare!
Il territorio è il frutto dell’equilibrio tra la sua essenza geo-fisica e gli agenti
bio-atmosferici, che ne modellano la forma e l’antropizzazione è tra tutte, la più recente ma anche la più invasiva e devastante che si sovrappone a tutte le altre perchè, con assurdo egoismo antepone i suoi spiccioli, immediati interessi speculativi ed economici persino a quelli delle sue stesse generazioni future, agendo quindi con l’incoscienza del serpente che, ingoiando la sua coda, divora sè stesso.
Tra le principali cause del dissesto quindi è sicuramente l’abbandono e l’incuria della mantagna, e più a valle delle zone collinari, dove i compluvi ed i displuvi che prima erano manutenuti persino quotidianamente, oggi a causa dell’abbandono dell’agricoltura giacciono lasciati a sè stessi perdendo qualsiasi funzione di governo delle acque reflue, un esempio per tutti, i milioni di muretti a secco che ornavano i piedi delle secolari piante di ulivo ,svolgevano un ruolo insostituibile sia per la coltura che per la regimentazione delle acque reflue ed il trattenimento in sede del terreno.
Gli sbancamenti selvaggi che, senza alcun controllo da parte degli enti preposti, aprono ferite irrimediabili nei fianchi dei monti e delle colline, che restano aperti per anni, versando a valle i terreni rimasti nudi ed indifesi dalla flora e dal terreno vegetale, vera e propria “pelle” della terra.
La continua sottrazione di terreno drenante nei centri urbani a favore di quello asfaltato o pavimentato crea un’accumulo di acque anomalo del quale troppo spesso nei nostri centri abitati non si predetermina lo smaltimento, e qui si deve registrare purtroppo l’inerzia dei nostri comuni che dovrebbero vigilare avendo il quadro d’insieme delle reti dei sottoservizi, non solo per quanto attiene il loro percorso, ma sopratutto per quanto riguarda il loro dimensionamento, troppo spesso sottostimato per contenere i costi e salvaguardare i guadagni!
L’edilizia scriteriata è fonte di rovina, anche quando regolare, perchè oggi siamo giunti a dover fare anche il distinguo tra edilizia abusiva regolare ed edilizia totalmente abusiva.
Infatti come si può definire regolare un’edificio seppure dotato dei crismi burocratici, se sorge nell’alveo di un fiume?
Per quello che ho cercato di spiegare precedentemente, quel sito per le sue condizioni naturali oggettive e specifiche, non sarà mai e poi mai in sicurezza e quindi edificabile, perchè il fiume, la natura, prima o poi se lo riprenderà, e pertanto esso è stato utilizzato e destinato all’edificazione in modo abusivo!
Vale la pena semplicemente poi ricordare quella che per me, e per tutte le persone che hanno creduto e credono nel diritto e nella legge, quale dramma e rovina abbiano rappresentato tutte le leggi dei condoni e delle sanatorie edilizie varie, che hanno alla fin fine sancito il trionfo della illegalità e della speculazione oltre che il fallimento di qualsiasi legge urbanistica per quanto perfettibile potesse essere, come a mio avviso poteva essere la 1150 del ’42.
Le sanatorie hanno consolidato un danno non solo sotto il profilo del volume costruito, ma sopratutto, ed è questo l’aspetto che qui curiamo, del sito scelto per l’edificazione.
Infatti, queste “indulgenze a pagamento” hanno legittimato tutte quelle strutture che sono servite all’opera per essere funzionale a sè stessa, ma non alla più generale salvaguardia e gestione del territorio, per esempio, molto semplicemente andando a gravare su condutture pubbliche non progettate per ricevere anche quegli scarichi dell’abusivo, poi sanato!
La lobby della geologia, ha dato il colpo di grazia a tutto il sistema, e si, perchè se tacessi su quest’aspetto, non sarei onesto con me stesso e con gli altri, la geologia in questa storia è la protagonista principale, la madre di tutte le responsabilità, perchè non dobbiamo dimenticare che alla base di ogni progetto edilizio o di trasformazione territoriale, c’è sempre uno studio geologico che ci dà indicazioni di cosa si può o non si può fare, non esiste piano urbanistico senza un approfondito e dettagliato studio geologico del territorio.
Però poi i maggiori accusatori del dissesto sono proprio i geologi, qualcosa non funziona, questo va detto chiaramente, altrimenti non faremo mai chiarezza fino in fondo sul nostro dissesto territoriale e sulle sue cause.
Esiste un P.A.I. Piano di Assetto Idrogeologico di tutto il territorio calabrese, emanato sulla scia dei gravi fatti che si verificarono a Soverato per cui dovremmo avere in mano la carta della verità la panacea di tutti i mali, perchè questo piano dovrebbe dirci tutto, dove si può o non si può costruire, eppure non è così, come mai?
I dottori geologi dicono: perchè le indicazioni in esse contenute non sono assecondate!
Altri asseriscono che le indicazioni contenute nel PAI sono eccessivamente vincolanti, e che si allontanano troppo dalle realtà dei territori, al punto tale da essere inattuabili e di essere in realtà uno strumento inutile e persino ostile allo sviluppo corretto del territorio che va a normare.
In effetti, sull’onda emozionale dei fatti di Soverato verificatisi nel 12 Settembre 2000 , l’Autorità di Bacino Regionale ha pubblicato nel 2001 il PAI, Piano di Assetto Idrogeologico Regionale che ha posto vincoli alla realizzazione di opere nelle aree a rischio elevato o molto elevato di alluvione o di frana.
Forse troppo poco tempo per redigere uno strumento di tale importanza e di tale ampiezza, forse bisognava essere più aderenti alla realtà e analizzare realmente faglia dopo faglia, fiumara dopo fiumara, per valutarne realmente la condizione e non limitarsi a produrre l’indicazione delle aree con caratteristiche di pericolosità.
Forse bastava assumersi un pò più di responsabilità e scendere con i piedi nel piatto ed indicare area per area cosa realmente si sarebbe dovuto fare per ridurre la pericolosità e portarla a termini accettabili.
Un esempio per tutti: non si può produrre una carta del rischio che asserisce che tutta l’area di Fabrizio è zona ad alto rischio inondazione, a causa del torrente Coriglianeto, che come tutti sappiamo, così come il Cino, è una fiumara con il letto pensile, ovvero il cui il corso dell’ alveo è contenuto da muri perchè il suo livello è superiore al territorio che attraversa.
A mio parere sparare una cannonata così grossa che riduce tutto l’abitato della popolosa frazione di Fabrizio di Corigliano ad un ammasso abusivo, è proceduralmente scorretto, oltre che controproducente, perchè tale vincolo, posto senza via di scampo, produce la rassegnazione per tutti i cittadini interessati, di trovarsi in una condizione ineluttabile e che l’abusivismo sia una condizione, tutto sommato, accettabile in quanto condizione originale!
Lo strumento avrebbe invece dovuto produrre anche delle soluzioni e stimolare il Comune a prendere tali provvedimenti per risolvere la problematica, che nello specifico si sarebbe risolto semplicemente alzando l’argine del Coriglianeto di un metro!
Sono convinto che l’emergenza deve essere una condizione contingente e temporanea, non può essere continuativa e fonte di opportunità.
L’emergenza questa è la condizione che dobbiamo vincere e combattere, il nostro obiettivo deve essere uno solo: la normalità, anche quando ci troviamo in condizioni difficili, perchè è nella normalità che si applicano le leggi, mentre nell’emergenza tutto diventa precario e provvisorio ed il controllo e le responsabilità svaniscono nell’ombra, e qui in Calabria abbiamo bisogno di luce e non di ombre!
Corigliano 14/ Agosto 2015
Mario Gallina