Quale privilegio trascorrere una serata, come quella di domenica sera, in mezzo alla Cultura! Occasione unica per respirare un’atmosfera di generosa dedizione collettiva, intenta alla valorizzazione della Bellezza letteraria. La volontà di ciascuno di noi è stata ispirata da un uomo che per molti anni ha insegnato (per fortuna ancora perseverando nel volerlo fare)
e che, con il suo carisma, è riuscito ad aprire tante menti alla conoscenza, all’amore per ogni forma espressiva, proponendo suggestioni e spunti di riflessione, in un tempo che ci tritura e ci toglie lo spazio per crescere e credere, per desiderare e gioire, per sperare e ritornare finalmente uomini, persone nuove e scevre dai meschini gioghi quotidiani: Pinuccio De Rosis, perno di questo encomiabile tentativo di rinascita del nostro paese.
Una proposta, quella del Maestro, come ormai sua abitudine, di estrema raffinatezza, che ha dato a ciascuno l’opportunità di approcciarsi a brani di prosa e poesia che, per il loro carattere prettamente simbolico e, di conseguenza, didascalico, non sono stati mera letteratura divulgativa, atta unicamente a dilettare i presenti, ma testimonianze di particolare interesse storico, filosofico ed antropologico insieme.
In uno scenario dove, oltre al piccolo romitorio, anche i sussurri del vento raccontano la mistica presenza di San Francesco, tutti i protagonisti hanno dato il loro prezioso contributo per la realizzazione di questo evento singolare:
chi (Fabiola) nel sussurrare al Signore, con estremo garbo, di <Calarci corde di sole>;
chi (Mario) nell’implorare con la veemenza e la cecità tipiche di un re la guarigione corporale, ignorando i moniti di un San Francesco (Francesco) che, con voce ferma e gesti composti, ha mostrato la sua fede salda e incorruttibile;
chi (Maria) nell’esprimere, con accenti caldi e grande sensibilità, tutta la gratitudine per i doni del creato;
chi (Lidia), accompagnata da una indispensabile voce narrante (Natalino), nel dare corpo, con un’interpretazione sentita nel profondo, a una Madonna straziata dal dolore davanti al suo unico Figlio messo in croce;
chi (Paola) nel recitare con accorata dolcezza il Padre Nostro dantesco;
chi (Maria Grazia) nel sussurrare con sentimento una delle più belle liriche di Alda Merini;
chi nell’immedesimarsi (Lella), con uno spiccato talento drammatico, in un testo sartriano di non facile esecuzione;
chi (Annabella) nel tenere, con grandi abilità oratorie, un’edificante lectio magistralis sul canto XI del Paradiso;
chi (Antonio) nell’incantare il pubblico, facendoci ritornare tutti un po’ bambini, raccontando, con accenti paterni, la bellissima favola del lupo di Gubbio;
chi (Teresa) nel chiedere, con triste rassegnazione,e a un Dio ormai clandestino, di palesarsi ai nostri occhi mortali;
chi (Mariapia) nel pregare, quasi sottovoce, in segno di rispetto e amore infinito, il Padre Celeste;
chi (Gianni) nel dare, con sapienti pause e un tono baritonale, un volto all’ambivalente personaggio dei Promessi Sposi;
chi (Serafina e Antonio), nel riproporre, sommessamente e con devozione, un dialogo di grande tenerezza fra Maria e Gesù.
Le nostre parole sono state accompagnate, con trasporto, da musiche meravigliose (Giorgio) e dal canto delicato di una voce angelica (Simona).
Indispensabile l’accorta direzione di un regista scrupoloso (Francesco) e l’aiuto di due fratelli (Francesco e Giorgio) che hanno speso grandi energie per l’allestimento di un teatro non canonico.
Ci siamo ritrovati in molti, pur nel breve spazio temporale di una sera, nel mondo perfetto della Bellezza, dell’arte e della cultura, grazie ad un uomo che, con la sua sapienza e tensione progettuale, è riuscito a portarci in quel luogo ricco di ricordi passati e, adesso, anche presenti.
Grazie a chi con con forza, pervicacia, sensibilità e fede ci ha allontanati dalla solitudine quotidiana a cui il dolore ci riduce,
per aiutarci a trovare anche nell’eccesso di silenzi e di assenze, sotto cumuli di tristezza, il coraggio di ricominciare.
Ai compagni di questa avventura
Agli amici di sempre
Al mio paese.
A. P.