‘Incartarsi’ significava, quand’ero giovinetto, rimanere con tante carte in mano, alcune anche di peso, ma tutte scombinate tra loro. Non era più possibile, a quel punto, poter fare un buon gioco. Smarrito, il giocatore, quello che si era appunto ‘incartato’, rimaneva un po’ di minuti a pensare, poi, con rabbia, buttava le carte sul tavolo, accettando la sconfitta.
La partita finiva così. Di norma, il guaio capitava al temerario, a chi, cioè, in più giocate successive, aveva sfidato la sorte e sottostimato la partita. Accadeva ed accade tuttora, nel gioco delle carte, ma anche nella vita d’ogni giorno. Se ci guardiamo attorno, non fa eccezione neppure la politica nostrana.