Costretto a casa dall’improvvisa pioggia, il buon contadino d’una virgiliana ‘georgica’ piega quel tempo inclemente a suo vantaggio, facendo tante cose: affila il duro dente del vomere, ricava dal legno un recipiente, provvede a marchiar la sua greggia, infine, conta le moggia di grano. Così anch’io, or che a casa mi tiene il lascito di un chirurgico intervento.
Bene, di necessità faccio virtù e m’applico a qualcosa che rinvio da tempo. Ecco, voglio togliere un po’ di roba dal mio tavolo, che da anni ormai assomiglia, sempre più, a quello d’un ‘azzeccagarbugli’ di manzoniana memoria. Via questo e via quest’altro e via quest’altro ancora, mi resta davanti, solingo e meschinello, un sol volumetto d’autore che non dico, il qual racconta, d’un fiato, la storia di Corigliano. Lo leggerò cento e più volte e più. Chissà che, alla fine, mi sveli, perché questa città scolori e par che muoia.