L’autunno è iniziato già da un po’ e tra qualche giorno inizierà ufficialmente e concretamente anche la stagione delle Clementine. Sappiamo bene che il nostro territorio dovrebbe vivere oltre che di Turismo e di Pesca anche di agricoltura. Dovrebbe. Ribadiamo e sottolineiamo il verbo al condizionale, in quanto non è così, nel senso che sempre di più ci arrabatta alla meno peggio vivendo un po’ di tutte e tre questi “settori” sociali ed economici,
poiché questi tra ambiti micro e macro economici esistono solo in potenza ma in realtà, come ogni cosa di questo mondo, se non c’è una precisa organizzazione con una valida programmazione e con dei conseguenti investimenti sostenute da delle politiche qualificate, difficilmente queste “potenzialità” si possono mettere a regime e quindi creare sviluppo e ricchezza.
E da noi questo è all’ordine del giorno e non da oggi ma sin dalla notte dei tempi. O meglio ancora, siamo rimasti fermi al palo, non siamo riusciti nel tempo a tenere il passo dell’evoluzione “moderna”, del progresso, della legge del “mercato”. Fino alla fine degli anni ’80 è possibile affermare, a ragion veduta, che sia nel turismo, sia nella pesca, sia in agricoltura c’è stato un certo spirito d'”iniziativa” sostenuto da un certo fermento politico volto a dare linfa ai processi di modernizzazione e sviluppo di questi ambiti.
Basti pensare che per quanto riguarda la pesca è stato proprio in quel periodo che va dal 1975 al 1990 che la flotta peschereccia di Schiavonea ha toccato il suo massimo fulgore, con una certa filiera costituita dai piccoli artigiani che si sono “inventati” la propria bottega ambulante e fissa. Stessa cosa dicasi per il turismo, infatti sempre in quel periodo sono sorte le prime strutture ricettive che a quel tempo erano anche all’avanguardia e in linea con le altre stesse realtà del nord Italia. Stessa cosa per l’agricoltura, con l’investimento lungimirante del piccolo patrimonio familiare nella pianta del “clementino”, che negli anni successivi si è andato diffondendo con una certa densità e ripagando quegli “sforzi” con tante soddisfazioni e non solo in termini economici. Basti pensare che negli anni ’80 il reddito pro-capite dei coriglianesi era tra i più alti d’Italia, cioè tradotto Corigliano era il paese più ricco della nostra nazione.
Si lavorava con impegno e a testa bassa. Ci sentiva, nella propria semplicità contadina, fieri di appartenere al proprio popolo, a questo paese. Tutto questo era accompagnato da un certo impegno attivo nella società, in politica. C’erano grandi avvocati, professori e intellettuali che animavano il dibattito politico lanciando idee e suggestioni che venivano poi accolte e discusse dalla massa. E questo era uno sprone in più per gli amministratori di quel tempo a fare di più, a cercare altre “vie”, a impegnarsi per far accrescere il potere contrattuale del proprio Municipio nello scacchiere politico provinciale, regionale e nazionale.
Tutto questo faceva sì che la nostra Citta’ divenne un modello sociale ed economico, politico e amministrativo da imitare e seguire. Poi verso la fine di quegli anni ’80, questo “sprint”, la marcia in più è andata sempre più rallentando fino a fermarsi del tutto nel decennio successivo che va dagli anni ’90 al 2000. Il tessuto sociale si è andato sfilacciando sempre di più, lo Stato, le Istituzioni si sono distratte, non hanno più alimentato quel soffio politico, sociale, amministrativo che negli anni precedenti c’era sempre stato creando sempre una prospettiva, indicando la strada, facendo sì che la nostra comunità fosse coinvolta nei processi di sviluppo regionali e nazionali.
Quel “soffio” ideale e quasi magico, animato dagli antichi valori contadini si è andato spegnendo creando un clima sociale freddo, negativo sempre più avvolto nell’individualismo; che per forza di cose ha contagiato tutti, ogni singolo cittadino. A tal punto che oggi vediamo che ognuno di noi non fosse parte della stessa comunità, della stessa storia, quasi come se ognuno.
Oggi la realtà è sotto gli occhi di tutti e quel paese fiorente, vivo, “aperto”, armonioso, semplice e gioviale, ricco nello spirito e anche nel “corpo”, di un tempo sembra essere lontano, sempre più lontano, quasi come se si fosse liquefatto nel tempo.
In conclusione, e avvicinandomi al punto che vorrei fare emergere, rivolgendomi a ogni singolo cittadino e appellandomi alle istituzioni locali, tenendo presente da dove veniamo, e considerato ciò che siamo, non possiamo accettare che il nostro paese, o città, chiamiamola come vogliamo, continui a regredire ogni giorno di più. Non è possibile che si continuano a perdere altre “posizioni”, non è possibile tollerare questo clima di sufficienza che regna sovrano.
Ognuno per quello che puo’ e ciascuno con le proprie responsabilità deve dare il proprio contributo per la rinascita e il rilancio di questa comunità. Tutto deve partire dal basso e non dall’alto. O meglio tutto dovrebbe partire dalle nostre istituzioni municipali, ma queste sembrano lontane, distinti e distanti dal territorio, dal corpo sociale, dalla realtà che viviamo. E allora ecco che occorre che si ricominci dal basso, dalla gente comune, dal popolo: siamo noi che dobbiamo iniziare a farci avanti, parlando, riunendoci, discutendo alimentando quello spirito del “fare” che ci ha sempre contraddistinto nelle nostre famiglie. Solo così, solo se iniziamo ad alimentare questo “fare”, riscoprendo questo orgoglio coriglianese che i nostri avi ci hanno “costruito” con la semplicità del proprio lavoro e del proprio essere.
Per quanto riguarda le Istituzioni municipali, credo che dovrebbero darsi una mossa rendendosi consapevoli del ruolo (di programmazione, organizzazione e gestione) che in termini politico-amministrativo esse dovrebbero svolgere, evitando di limitarsi a pensare al quotidiano, al singolo problema che per giunta ci si arriva sempre un minuto dopo che è “diventato” tale. E allora in questa ottica – giusto per tornare all’incipit di questo discorso, e arrivare al contempo al punto – visto che tra qualche giorno inizierà la “campagna agrumicola” il Sindaco, l’Assessore al commercio e alle attività produttive, il Presidente del Consiglio Comunale dovrebbero prendere l’iniziativa, coinvolgendo i sindaci del comprensorio della Sibaritide, al fine di creare qualche dinamica politica positiva per gli agricoltori e per tutta la filiera che ne fa parte e trovare soluzioni ai vari problemi legati alle varie “fasi” che la animano, chiedere e convocare un tavolo, una “conferenza di servizio”, che riunisca tutti gli addetti ai lavori, per salvare il salvabile, per dare un po’ sollievo a tutto l’indotto.
Sarebbe questa un’occasione importante, anche in prospettiva, per cercare di organizzare al meglio, anche con l’aiuto del prossimo Assessore regionale all’agricoltura, coinvolgendo il Ministero dell’Agricoltura per lo “sviluppo” di un progetto, che permetterà alle nostre clementine – uniche in tutto il mondo per qualità e sapore – di trovare delle giuste vie “commerciali” per la loro diffusione sui mercati. Un’Amministrazione comunale questo ha non solo la responsabilità ma ne ha il dovere civile prima ancora che politico di promuovere queste forme di “sviluppo”. Questo per quanto riguarda l’agricoltura, ma poi molte cose si possono fare nel “settore” del turismo e della pesca. Ma su questi ci ritorneremo, per parlarne, qui, in un futuro prossimo.