“Il calcio è vittima di situazioni che vanno oltre: gli ultrà utilizzano gli stadi per manifestazioni di potere. E’ un dato di fatto: in alcuni stadi gli ultrà hanno un ruolo inaccettabile”. Questo è il commento del signor Giancarlo Abete, che dal 2007 è ai vertici della Federazione Italiana Gioco Calcio, a margine della finale di coppa Italia tra Napoli e Fiorentina andata in scena ieri all’Olimpico di Roma. Cioè queste parole sono di colui che è ai vertici del calcio italiano da sette anni, anni neri, difficili per il calcio italiano, che, secondo noi, non riuscirà mai più a risollevarsi se chi deve prendere decisioni serie, coraggiose, decise e lungimiranti risponde ai nomi di Abete, Malagò, Petrucci e chi più ne ha più ne metta. Da sportivo, da amante del calcio, credetemi, sono amareggiato e deluso per l’ennesimo capitolo di incapacità dirigenziale che è stato scritto ieri sera all’Olimpico.
Per natura non sono pessimista ne vittimista, ma cerco di essere il più realista possibile, ed è alla luce proprio di tanti avvenimenti tragici, violenti e luttuosi verificatisi negli ultimi tre lustri, che mi convinco sempre di più che il calcio non può che finire schiacciato sotto il volere violento ed ineffabile di una sparuto gruppo di violenti che da anni tengono in scacco società e calciatori. Le forze dell’ordine, secondo me, hanno perso quella forza propulsiva di assicurare alla giustizia i violenti, perché questi ultimi, puntualmente riescono a farla franca. Per capire meglio quello che sta portando all’autodistruzione il mondo del calcio italiano, vi proponiamo, alcuni pezzi di articoli pubblicati di recente che fanno capire in maniera chiara quello che sta succedendo. A dicembre su “La Repubblica” viene pubblicato questo articolo di cui proponiamo uno stralcio: “Più che di un calo, si tratta di un crollo. Parliamo dei “tifosi”. In Italia, fino a pochi anni fa, erano la maggioranza. Quasi il 56%, nel 2009. E il 52%, l’anno seguente. Poi è iniziata la diminuzione, rapida e sensibile: il 45% nel 2011 e il 43 nel 2012. Un anno fa. Oggi sono il 36%. Sette punti in meno nell’ultimo anno. Quasi dieci negli ultimi due. E venti rispetto al 2009. In quattro anni, dunque, coloro che si dicono tifosi di calcio si sono ridotti da oltre metà della popolazione a poco più di un terzo. E oggi sono una minoranza, per quanto larga. All’interno della quale è cresciuta la componente più calda. Anzi “militante”. Gli “ultratifosi” (non necessariamente ultras) sono ormai saliti al 47% della popolazione (tifosa). Quasi metà. L’anno scorso erano il 43%. Parallelamente, si è ridimensionato il tifo “tiepido”. Ormai poco più del 20%. In altri termini, la passione per il calcio, in Italia, coinvolge una quota di persone sempre più ridotta, ma sempre più accesa. Sempre più attiva e reattiva. Vi sono diverse ragioni, dietro a questa tendenza, già visibile l’anno scorso, ma divenuta, oggi, più evidente. Tre, fra le altre, sembrano particolarmente importanti. La prima riguarda la credibilità del calcio e dei campionati. Logorata dagli scandali, che si ripetono e si ripropongono, da tempo. Senza soluzione. Tanto che il calcio appare, ai più, viziato dagli interessi. La seconda riguarda il contesto. Sappiamo bene che, da molto tempo, il calcio ha smesso di essere un gioco. Ma il problema è che, ormai, viene considerato fonte di insicurezza. Gli stadi sono percepiti come luoghi a rischio, più che di gioco. Dove il razzismo non smette di farsi sentire. Con i “buuu” odiosi, rivolti ai giocatori di colore, presenti in tutte le formazioni. Un fenomeno deprecato da quasi tutti i tifosi, d’accordo sulla necessità di assumere provvedimenti più duri, pur di scoraggiarlo. Anche per questo è divenuto difficile recarsi allo stadio per trascorrere un pomeriggio o una sera di svago, alle famiglie e, in generale, alle persone “comuni”. Non “contagiate” dal tifo. D’altronde, solo la Juventus ha costruito uno stadio che tenga conto di esigenze di socialità e sicurezza. Mentre la legge da tempo annunciata, per agevolare la costruzione di altri stadi di proprietà e responsabilità delle società, non è ancora stata approvata”. Lo scorso 11 aprile un articolo di Mario del Bue su un blog nazionale parlava di sicurezza negli stadi”: La Gazzetta dello sport ha chiuso oggi un’inchiesta molto eloquente sulle differenza tra le normative italiane e quelle europee attorno alla questione dalla sicurezza degli stadi. Tali differenze sono abissali. Partiamo da un punto. In Inghilterra, in Germania, in Spagna, in Francia si parte dal presupposto che i delinquenti vanno individuati e isolati mentre le persone perbene, la stragrande maggioranza, vanno invece agevolate nella possibilità di accesso allo stadio. In Italia è il contrario. Si sono considerati, senza eccezioni, tutti gli sportivi potenziali delinquenti. Col risultato che gli ultras continuano a popolare i nostri stadi e gli sportivi perbene se ne stanno a casa dinnanzi al televisore. Dal 2007 in Italia sono stati introdotti i biglietti nominativi, installati i tornelli, creati i prefiltraggi, sfornati gli steward, posizionate le video sorveglianze. Qualche anno dopo sono anche state inventate la tessere del tifoso. In nessun altro Paese europeo esiste questa assurda combinazione di strumenti burocratici. Risultato: i nostri stadi sono i meno frequentati, anche quelli più comodi, coperti e senza pista (vedasi San Siro), il pubblico medio a partita è la metà di quello tedesco e quasi la metà di quello inglese. Gli strumenti utili sono invece rappresentati dagli steward, dai prefiltraggi e dai posti numerati e a sedere, che peraltro non sono obbligatori in Germania. Soprattutto è utile la videosorveglianza. Questa da sola basta e avanza, se utilizzata nel modo giusto, per individuare i colpevoli di azioni violente e, volendo, anche di cori offensivi. Che vanno colpiti, anche questi, individualmente”. Un’ultima considerazione va fatta dopo quanto successo ieri sera. In Italia non si è voluto seguire il modello inglese e l’Inghilterra, che dopo l’Heysel, era messa peggio di noi. Manderei i nostri a studiare quel modello per applicarlo qui. Sciogliere i gruppi del tifo violento, impedir loro di entrare negli stadi, che là sono stati popolati di famiglie e di bambini, questo è quello che gli inglesi hanno fatto. Non hanno praticato una comoda repressione generalizzata, che colpisce chi non c’entra nulla, ma una repressione mirata contro i violenti. Se uno spettatore lancia in campo qualsiasi cosa, viene individuato e arrestato. In Italia si squalifica un intero settore e non viene colpito il colpevole. Le norme sulla sicurezza degli stadi vanno tutte abolite e rifatte, con la nuova logica. Bisogna ammettere che si è fallito. Anzi che le nuove norme hanno prodotto l’effetto opposto. Hanno espulso dagli stadi non i violenti, ma le persone per bene. E i violenti hanno oggi un ruolo sempre più attivo nel condizionare gli altri tifosi e anche le società, con ricatti e minacce continue. Che restano, chissà perché, sempre impuniti. Che rapporto c’è tra questi gruppi e la politica? Sarebbe bene approfondirlo. Altrimenti non caveremo un ragno dal buco.
Giacinto De Pasquale