LETTERA APERTA
«Una massima sofista di Alcibiade di Atene recita: ” la giustizia è , l’utile del più forte”. Carissimo Renzi, Bossi, Grillo e quanti, comodamente seduti, sono contrari ad amnistia e indulto, temi tanto forti e dibattuti in questi giorni in Italia. A Voi mi rivolgo e affido il disumano grido di dolore che si leva dai sovraffollati carceri/lager italiani. Chiedete ogni consenso quale guida della nostra Nazione, eppure non vi curate dei suoi figli che soffrono e vivono in disumane condizioni. Dunque, quale il vostro compito?
Siamo stati esposti alla berlina con somma soddisfazione di quanti stanno solo a guardare e giudicare. Coloro i quali sono investiti di un potere legittimo dovrebbero garantire, a tutti, libertà e diritto; dovrebbero impedire che l’intemperanza li trascini alla prepotenza, così da esercitare la potestà con alterigia, tirannia e sopraffazione. Quei diritti che, osservati in passato, non sono più rispettati si da essere dimenticati, devono ora essere restituiti e garantiti.
De Sade, nel “Il Giudice beffato”, scriveva:” E’ assurdo dire che un delitto possa compensarne un altro, e non è assassinando gli uomini che si riesce a renderli migliori”.
L’esperienza c’insegna che: “non è colpendolo severamente che sradicherete il crimine, che arresterete il suo dilagare oggi”.
In queste condizioni, la galera non tende a rieducare, ma a punire. Se preventiva, sortisce effetti, specie all’innocente, dirompenti ed imprevedibili, come il sibilo del silenzio che preconizza l’uragano. Gli uomini si avvalgono del potere dell’azione collettiva che riduce il senso di responsabilità personale. Così nessuno di loro si sente perseguibile o particolarmente in colpa per aver preso parte a un’azione (brutale, disumana, ingiusta, persecutoria) di gruppo. Anche chi non avrebbe o vorrebbe partecipare assume un ruolo che sostituisce la persona. Così si formano differenze tra i vari gruppi; ci sono oppressi e oppressori, ciò giustifica ogni continuo abuso.
“La distanza” dice Bocchiaro. “Il senso di colpa diminuisce con la distanza; quello che è lontano da te, anche se deciso da te, non ti tocca, o pochissimo” (meglio ancora se fuori dal suo campo visivo: ricordiamo i deportati meridionali, dopo l’Unità d’Italia, in Patagonia).
“Biasimare chi soffre è l’esito, tragico, della. “credenza in un mondo giusto”, la convinzione in base alla quale ciascuno nella vita ottiene ciò che merita e merita ciò che ottiene. Se subisci ingiustizie, sofferenze e maltrattamenti, se hai il cancro e così via, evidentemente te la sei cercata. Ed è proprio chi provoca sofferenze che tende ancora di più a trasformare la vittima in colpevole. Si sentono legittimati ad abusare di chi soffre. “Un atto d’amore spesso lenisce più di mille sofferenze, ed in circa settantamila detenuti (tantissimi innocenti ed in attesa di giudizio) da troppo tempo non ricevono un atto d’amore, una parola di conforto. Ci hanno strappato alla vita, ci hanno tolto gli affetti e l’amore, la dignità, il futuro. Rinchiusi in putridi tuguri sovraffollati, ove ogni giorno si vive abbandonati all’inerte attesa di una chimera: l’inferno, “luogo dominato da una signoria demoniaca, da un “diablos” che qui si manifesta, capace di dividere, frantumare ogni realtà e atti umani positìvi, portatori di bene. Luoghi diabolici, concreti nei quali si organizza ed esprime un potere di sopraffazione, puro rispecchiamento del male nel brutto. Il carcere come luogo dello smarrimento delle coordinate antropologiche fondamentali di spazio e tempo, senza richiamare né la condizione educativa e di reinserimento sociale, ma quella propriamente diabolica del luogo concreto. Luogo in cui si sfuma la consistenza elementare; un luogo dal quale non si esce e nel quale ci si perde. II carcere: questione complessa che segna il nostro tempo, diverse facce con cui il male si manifesta e diffonde nella nostra società”.
Resta un drammatico dato di fatto: circa settantamila detenuti vivono in condizioni disumane; ogni dramma, ogni vita spezzata peserà sulla vostra coscienza e inerzia.
Chiediamo di vivere dignitosamente, e voi avete l’obbligo di fare, prima che sia, ancora una volta. troppo tardi. In tanti come me, da troppo tempo sono rinchiusi benché non ancora definitivi: dov’è la presunzione d’innocenza? Solo uno Stato autocratico tiene rinchiuso il popolo non ancora giudicato colpevole.
Mi auguro non tocchi ai vostri figli dover vivere 24 h in pochi metri quadrati di spazio, lo stesso spazio cui condivide con tanti, ove cucini, mangi. pulisci, “espelli”, dormi, sogni e piangi: è disumano e mortificante.
Migliaia di richieste di risarcimento giacciono, in attesa di essere evase, presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; altre migliaia presto invaderanno i nostri Tribunali Civili. Risarcimenti che graveranno sulle precarie finanze statali, sulle tasche d’incolpevoli e già strozzati contribuenti. Anche di ciò siete e sarete responsabili.
Per risolvere problemi gravi e non più derogabili ci vuole coraggio e responsabilità, forza per agire, al di là delle critiche di comodo. La Nazione mal sopporta che i suoi figli soffrano e piangano, a voi tocca lenire ogni loro ingiusta sofferenza e asciugare ogni lacrima, altrimenti, acclarata ogni vostra inettitudine, lasciate il posto che indegnamente occupate, in cui avevamo posto fiducia. Il nostro sacrificio non è più procrastinabile, esso smaschererà la vera natura di uno Stato fatto da uomini, che firma così la sua condanna. Quali che siano le vostre glorie e qualità, esse non serviranno a mascherare, non più, le disastrose conseguenze delle vostre azioni, dettate da amore per la gloria e imperioso bisogno di popolarità. Le nostre coscienze genereranno i vostri spiriti, propensi a ripiegarsi sul vostro passato di ben poca virtù vissuta.
La nostra difesa non è una domanda di grazia: è una richiesta di giustizia, o meglio una dimostrazione delle ingiustizie subite.»
dal Carcere di Siano 15.10.2013, Avv. Antonio Piccoli
Fonte L’Ora Della Calabria