La tragedia di Lampedusa, una tragedia che si perpetua da anni e che vede decine di migliaia di vittime scomparse nel Mediterraneo, ha colpito le nostre coscienze come un cazzotto alla bocca dello stomaco. Quei corpi stesi sulla battigia, inermi, esprimono un senso di solitudine e di fallimento che non può non essere comune a chiunque abbia visto quelle immagini.
Solitudine nell’immaginare cos’è la morte in mezzo al mare, lontano da una patria che brucia e lontano da una nuova casa che non vuole accoglierti, che ti costringe ad affrontare un viaggio inumano, in mano ad aguzzini che per denaro venderebbero la propria madre, con la speranza di trovare, nella miseria che li attende in Italia ed Europa, una vita migliore di quella che lasciano. Fallimento per l’incapacità di un’intera comunità politica, quella europea, nel non aver messo in atto tutte le scelte politiche, appunto, necessarie a fermare questa feroce barbarie che si vive nel Mediterraneo. Responsabilità enormi sono da attribuire ad una legge, la Bossi-Fini, che, tra le mille deficienze e bestialita giuridiche, inserisce anche la denuncia di favoreggiamento per chi soccorre i profughi, perdendo completamente di vista un senso di pietà umana che non può non essere patrimonio comune a chi governa la cosa pubblica. E prima della Bossi-Fini anche la Turco-Napolitano non è che fosse elemento di lungimiranza politica. Le parole del Papa, che, con grande sensibilità oltre che con intelligenza, sceglie di parlare soprattutto al popolo che non appartiene alla Chiesa, scavano in profondità nelle sensibilità di ognuno di noi. “Quello che è accaduto è una vergogna”…parole semplici, chiare e dure, parole necessarie a far comprendere da che parte sta la verità e che vanno, finalmente, prese delle decisioni che scavalcano le logiche di “contabilità politica”. E’ necessario, dopo aver pianto, dopo aver fatto mea culpa e pontificato su responsabilità ecc…, intervenire per costruire una rete d’accoglienza europea che sia in grado di fermare questo massacro.
Anche una comunità come la nostra, intesa come Corigliano, che vive e produce a stretto contatto con migranti provenienti dai posti più diversi, deve interrogarsi su come viviamo questo rapporto, deve riflettere su quella che è la nostra capacità d’integrare le realtà più diverse. Abbiamo le strutture e le risorse per impedire che uomini e donne vivano sulle nostre spiagge di notte, mentre di giorno sono gli unici che raccolgono le nostre clementine? Abbiamo contezza di come vengono sfruttati con affitti in nero a costi da capestro? Siamo a conoscenza che caporali e sfruttatori, spesso legati alla criminalità prendono, da loro, soldi e, spesso, per mantenerli in uno stato di costante ricatto, ne sequestrano documenti? E’ quel dolore che, ora, tutti proviamo che deve farci riflettere su quello che va fatto, al netto di speculazioni politiche che non sono necessarie, e che dobbiamo fare di concerto con tutte le istituzioni esistenti sul territorio. Un intervento che, dopo aver saggiato la pratica della “caccia all’uomo” di una amministrazione comunale passata, deve trovare gli strumenti economici, previsti dalla Comunita Europea, riservati in via esclusiva all’accoglienza e che non possono essere destinati ad altro.
Questo dolore, questo sentimento di oppressione morale che tutti proviamo, questa specie di senso di colpa, deve essere la spinta per affrontare con decisione una questione, quella dei migranti, che è strettamente connessa a quella dei rifugiati, che non potrà mai essere risolta con ricette leghiste o nazionaliste. L’idea di chiudere i confini, l’idea che l’Italia non sia più aperta all’immigrazione, che non sia punto di passaggio per chi vuole entrare in Europa, si è dimostrata inattuabile: il sistema dei respingimenti è fallito. Ora bisogna valutare altre strade che, necessariamente, partono dalla presa d’atto di una realtà multietnica, di una realtà, anche economica, che ha la necessità di lavoratori migranti. Agricoltura, edilizia e assistenza agli anziani, sono settori che si fermerebbero senza gli stranieri, non perchè sottraggono lavoro agli italiani ma perchè sono lavori che noi non facciamo più. Ed allora scegliamo di percorrere una via più logica, una via più umana, che ci porterà a scelte accettabili per tutta la nostra comunità. Accettiamo come improponibili tutte quelle posizioni xenofobe e nazionalistiche, fondamentalmente stupide ovvero strumentali ad un progetto atto a generare consenso premendo su sentimenti di paura e di disagio, di chi sceglie di non vedere la realtà per quella che è. Prendiamo atto, lo deve fare anche chi vive ancora come “diversa” la presenza straniera nella nostra terra, che non si può tornare indietro e che bisogna accettare questo nuovo mondo sempre più piccolo, con confini sempre più labili. Scegliamo di ricordare quando gli albanesi eravamo noi, quando trovavamo i cartelli che ci vietavano l’accesso ai ristoranti e ci chiamavano “mafia man”…magari potremmo ricordare quel senso di speranza, quella voglia di rivalsa e riscatto che ci animava quando essere “viaggiatori per il mondo” toccava a noi. Troviamo, e lo dico da non credente, nelle parole di papa Francesco il senso di una scelta che non può che essere quella giusta.
“Si può conquistare il mondo non solo come capitano, sottomettendolo, ma anche come filosofo, penetrandolo, e come artista, accogliendolo in sé e rigenerandolo” (Christian Friedrich Hebbel)…ecco…ora è il momento di scegliere il pensiero e la gentilezza dell’accoglienza.
Alberto Laise, componente segreteria provinciale SEL-Cosenza