Vorrei condividere con i lettori del Blog di Corigliano e rivolgere al primo cittadino della città di Corigliano Calabro e al direttore sanitario dell’Azienda Sanitaria Ospedaliera di Cosenza il monito, tratto dagli Scritti di Francesco d’Assisi e rivolto dal santo patrono d’Italia al frate incaricato della legna, affinché non tagliasse del tutto l’albero, ma ne lasciasse sempre una parte intatta , spiegando che doveva far così “per amore di Colui che volle operare la nostra salvezza sul legno della croce”.
Anche il monito rivolto all’ortolano , di lasciare libera una parte del terreno in modo tale che nella “stagione adatta” potesse riempirsi di fiori, rivela il tempo del rispetto per la bontà, il coraggio della tenerezza : il tempo dell’umanità !!!
Anche noi facciamo altrettanto?
Eppure… il gesto di cura chiede un modo più profondo di cogliere la vita, più ricco e sottile del risanare e del riscattare: il solo gesto di cura tra il diritto e la salute del coraggioso reparto di neurologia del presidio ospedaliero Guido Compagna !!!!
Il gesto di cura istituzionalizzato pare avere perso la densità e la profondità nel dire l’umano che resiste e si gioca nel limite, e che si gioca e resiste nella prova della vicinanza che cura.
Ma se è aumentato enormemente il potere del gesto tecnico, e della medicina ( a vantaggio di non molti, non dimentichiamo) sulla malattia, insieme è aumentato, almeno nella stessa misura, il potere della malattia sugli uomini e sulle donne. Mentre, pare di avvertire, sono diminuite, le risorse delle persone per farvi fronte: risorse culturali e risorse psicologiche, risorse relazionali.
Diminuite paiono le capacità delle persone di integrare la malattia nel disegno di vita, di riconoscerne il messaggio…
Il senso della medicina e dell’azione di cura, si gioca nel luogo del sapere e del volere nella malattia; nel luogo dove si elabora vivendolo un senso della malattia. Quello abitato dalle relazioni vitali dei protagonisti dell’esperienza : i malati anzitutto, i familiari e gli amici, i medici e il personale di cura.Altri gesti di cura , attorno a noi, si interrompono per la mancata capacità di riaprire un tempo di pienezza alle persone. Sono acute spese di intelligenza e delicate tenerezze che si fanno presenti in un tempo personale che nel limite, nello svantaggio, nella malattia cronica, è tempo di libertà, di responsabilità…La continuità è essenziale anche se non sempre l’organizzazione sanitaria riesce a garantirla, perché senza di essa non esistono né relazione terapeutica né collaborazione..
Da quanto ho sperimentato in prima persona, i medici e il personale sanitario che si occupano di ammalati cronici in genere mostrano una capacità di relazione con i pazienti di qualità superiore a quella mediamente riscontrabile nel servizio sanitario nazionale. Quindi non conta soltanto quel che viene detto, ma il modo in cui viene detto sia livello verbale che non verbale , così come le condizioni in cui la comunicazione si realizza. Interruzioni continue o spostamenti inaspettati del reparto non possono dare luogo a una buona comunicazione e a un sentimento di fiducia. La fiducia è minata da tutte le situazioni in cui la reciprocità e il senso di responsabilità sono carenti. La professionalità e la moralità di una struttura sanitaria e del suo personale sono fattore di forza che nel malato potenzia gli atteggiamenti positivi: al contrario, l’ingiustizia sanitaria e/o la disorganizzazione e l’incapacità di coordinare le diverse componenti della struttura sanitaria è un fattore di vulnerabilità psicologica, oltre che causa di danni oggettivi. Non bisogna nascondere che la realtà della malattia cronica , come patologia per la quale non esistono terapie risolutive e in cui il trattamento dei sintomi è difficile , può mettere a dura prova la fiducia nel medico e nella struttura sanitaria. E’ impressionante come strutture sanitarie estremamente efficienti sul piano tecnologico siano del tutto cieche di fronte alle paure del paziente , e come la loro efficienza si traduca in un fallimento perché alla fine il paziente stesso li abbandonerà..
Nell’impossibilità di risanare, di riscattare …, infine il gesto di cura sa continuare anche nella situazione di incurabilità ..e alla domanda:
“cosa si può fare quando non c’è più niente da fare?” noi tutti pazienti della neurologia del locale presidio ospedaliero risponderemo : sapere stare in presenza del nostro reparto, che ci sprona a credere ancora nella prospettiva di una più accettabile qualità della vita, può essere il modo d’essere giusti, allora. Resistere : dire e ridire la vita nei momenti, dei momenti: affidamento e consegna dei giorni e dei gesti, del senso che si è colto nel tempo, e dei sogni!!!! E il riferimento si orienta alle molteplici attività territoriali che questo reparto ospedaliero, con varie associazioni di volontariato, propone all’utenza più debole della popolazione del basso Jonio cosentino: a tal proposito, ultimo in ordine di tempo, l’attivazione del Centro diurno per i familiari dei pazienti affetti dall’Alzheimer , nella città coriglianese a seguito di interventi di sensibilizzazione attuati fin dallo scorso anno anche nel territorio di San Demetrio Corone.
Isabella Cosentino