Finalmente il Consiglio di Stato lo scorso 28 maggio ha reso note le motivazioni che hanno indotto quei giudici, il 19 novembre scorso, ha respingere il ricorso dell’ex sindaco Pasqualina Straface, sulla sentenza emessa nel giugno del 2012 dal Tar del Lazio che confermava la decisione assunta dal ministro Maroni di sciogliere il consiglio comunale, un anno prima, per infiltrazioni mafiose.
Come avrete modo di leggere, attraverso la sintesi dei passaggi da noi ritenuti salienti delle 24 pagine che compongono le motivazioni dei giudici romani, detti giudici, per certi versi, sono stati ancora più duri rispetto a quelli del Tar, nell’attribuire all’ex sindaco precise e gravi responsabilità per quanto verificatosi durante la sua pur breve consiliatura. Questi i passaggi delle motivazioni della sentenza che vi proponiamo:
“Ma, anche a seguire il percorso argomentativo dell’appellante, la conclusione sulla sussistenza di gravi anomalie comportamentali ed amministrative, tali da denotare il denunciato condizionamento, non solo ne esce confermata, ma viepiù rafforzata.
È solo da precisare che una gran parte delle vicende esaminate non riguardarono l’inchiesta Santa Tecla, per cui l’apporto dei predetti ufficiali fu importante, ma non solo preordinato all’acquisizione delle risultanze penali.
È evidente che dette irregolarità, articolate e reiterate, sono la risultante di situazioni stratificatesi nel tempo e di comportamenti impropri di eletti e burocrazie, ma se ciò è vero, sfugge la ragione per cui il Sindaco, se veramente estraneo a tali fatti, non abbia tentato di porvi immediato rimedio, invece d’assecondarne l’andamento, trincerandosi dietro gli errori degli impiegati o situazioni asseritamente necessitate.
Riguardo la Unità di progetto il Consiglio di Stato al RUP, e non già al Sindaco, l’art. 91, spetta la potestà di conferire incarichi di progettazione, di coordinamento e di direzione lavori. Nemmeno derogabili sono i criteri di calcolo dei compensi, i quali non possono essere subordinati alla concessione del finanziamento dell’opera progettata. Come si vede, nella specie la scelta del Sindaco fu inficiata da incompetenza, ossia del vizio di legittimità più semplice da evitare e da correggere, solo che si fosse chiesto ausilio per tempo alla P.A. statale e ad un’interpretazione di buona fede delle fonti.
Né basta: i presupposti di legittimità del conferimento di un incarico di consulenza a soggetto esterno sono l’impossibilità oggettiva di reperire risorse umane disponibili all’interno dell’ente e la straordinarietà della situazione che giustifica il ricorso alla convenzione e la natura temporanea, determinata ed altamente qualificata della prestazione. Sicché non basta predicare, per l’Unità di progetto, la progettualità di riqualificazione del centro storico, quando, per evitare irregolarità, logiche clientelari o, comunque, forzature d’un sistema così altamente sensibile, il Comune avrebbe potuto chiedere l’intervento collaborativo dei livelli di governo superiori, anche della Regione.
Sul ricorso frequente alla somma urgenza il Cds sostiene: Invero, l’appellante ha adoperato la potestà ordinatoria anche in contesti diversi da quelli più prettamente discendenti da calamità climatiche, al fine d’assegnare lavori pubblici nei più svariati campi (dalla realizzazione di un tratto di rete fognante, alla potatura di ventidue pioppi di alto fusto, ai lavori di derattizzazione e disinfestazione di insetti nocivi), senza assegnarli in economia o con l’evidenza pubblica, pur trattandosi di vicende strutturali ed ordinarie.
Sulla questione mercato ittico: Non dura fatica il Collegio a convenire che gran parte di tal vicende si fossero stratificate prima dell’elezione dell’appellante a Sindaco, ma anche a concordare con il Giudice di prime cure sul fatto che sulla gestione del mercato ittico la Giunta Straface adottò modalità operative e gestionali non già efficaci, ma solo dimostrative.
Nondimeno, il TAR ha precisato come, dalle verifiche effettuate presso la Prefettura di Cosenza, la Commissione d’accesso avesse evinto che, dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010, non pervenne dal Comune di Corigliano alcuna richiesta di informazione o comunicazione antimafia, mentre l’appellante nulla replica specificamente sul punto.
Ebbene, nella specie, i dati fin qui esposti e valutati dalla P.A., ed è questa la ragione per cui il Collegio ha reputato di disaminarli tutti e ciascuno, costituiscono certo un complesso di disfunzioni derivanti anche da scarse capacità professionali ed organizzative dei ceti politico e burocratico dell’ente. Ma essi rasppresentano altresì quell’insieme di errori o di illegittimità reiterati, peraltro in un tempo molto ben concentrato, tesi a raggiungere obiettivi non già meramente casuali, né corrivi verso taluno o talaltro destinatario più o meno influente sull’apparato comunale, ma al contrario utili esclusivamente per le organizzazioni criminali locali ed i loro accoliti e sodali.
Si tratta, come si vede, anche in questo caso d’una sommatoria di comportamenti o enfatici o di non immediata e concreta efficacia, tali, perciò, da non elidere le disfunzioni oggettive, né da mitigare i condizionamenti mafiosi pregressi ed attuali. Sicché, a fronte d’una generica doglianza sul preteso difetto di motivazione degli atti impugnati, l’appellante non solo non argomenta a sufficienza per contraddire, ma non vi riesce perché il suo impegno profuso, perlomeno, s’è appalesato di volta in volta insufficiente, irrilevante o inefficace.
L’appellante al riguardo (cfr. pag. 70 del ricorso in epigrafe), al di là delle parentele in sé non automaticamente probanti, non può vantare che intenti, impulsi e vari atti dovuti (anche seri), il cui effetto pratico è abbondantemente soverchiato dagli altri atti illegittimi e persistentemente irregolari a favore, in modo diretto o indiretto, delle cosche locali”.
Giacinto De Pasquale