Lettera al Corriere della Sera del Vescovo della Diocesi Rossano-Cariati in riferimento alla lettera inviata da Francesca Chaouqui.
«A Corigliano si è consumata una tragedia. Una tragedia simile a tante altre che stanno affollando le pagine dei nostri giornali. Una tragedia particolarmente crudele per il modo in cui è avvenuta. Una tragedia che non ha giustificazione e che, ancora una volta, ha per vittima una donna. A dire il vero, ha come vittima una ragazzina, una bambina quasi; e anche come carnefice ha un ragazzino.
Assieme allo sgomento, al dolore infinito che sta invadendo il cuore di tutti, e a maggior ragione invade il cuore di un vescovo, è doveroso fermarsi per una riflessione. Anch’io l’ho fatto e lo sto facendo, chiedendomi se in qualche modo la terribile morte di Fabiana non avrebbe potuto essere evitata; chiedendomi cosa fare perché tante altre morti simili possano essere evitate. Tra le tante domande e risposte, tra le tante riflessioni una, in verità, non ha mai sfiorato i miei pensieri: credere
che la spiegazione di quanto è accaduto sia da ricercarsi nelle pieghe nascoste della cultura e dell’educazione di quella Calabria che, a dire il vero, appare ingiustamente bersagliata da alcune opinioni espresse in questi giorni, in particolare dalla lettera inviata al Corriere dalla calabrese Francesca Chaouqui. Non conosco questa persona, né so quanto ella ha nel cuore e quale sia la sua esperienza, che in ogni caso rispetto. Ma non riconosco nelle sue parole quella che a me pare la verità profonda di questa terra e della sua gente. Corigliano non è un paese arroccato sui monti e quasi fantasma, ma una cittadina ricca di storia e di arte, con notevoli potenzialità turistiche e imprenditoriali, piena di negozi, bar, edifici dignitosissimi: è tra i comuni più ricchi della Calabria e di tutta Italia; più volte, da vescovo, ho avuto modo di sottolinearlo, anche nel desiderio di spingere i cuori ad aprirsi alla condivisione e alla solidarietà. I ragazzi delle
nostre famiglie, delle nostre scuole, delle nostre chiese, sono come tutti gli altri: capaci di gioire della loro età, di interrogarsi sul senso dell’esistenza, a volte di sbagliare in alcune scelte, di vivere relazioni sincere e mature; sono cuori generosi, pronti ad aprirsi all’accoglienza, al volontariato, agli altri, magari anche spalancando le porte agli stranieri i quali, sempre più, affollano le nostre coste; sono intelligenze luminose di uomini e donne che sanno sognare in grande. Sì, è vero: più che in altre parti d’Italia, sono pochi quelli che restano, bisogna spesso emigrare per affermarsi, per trovare lavoro, non di rado per studiare. Ed è questa la piaga grande del Sud. Ma se i nostri giovani conquistano un ruolo fuori dal loro ambiente non è perché cambiano laddove arrivano ma perché portano lì ciò che sono e quanto hanno ricevuto qui, in questa terra che è la loro terra! La tragedia di Fabiana e Davide non nasce, dunque, dall’arretratezza di un luogo del
Sud Italia che prevarica la donna ma, assieme alle tragedie di tante donne e non solo di tante donne, nasce forse dalla povertà, dall’aridità di un tempo, il nostro, che rifiuta di riconoscere quei valori assoluti che, soli, possono ergersi a difesa della dignità di ogni creatura, dalla più piccola alla più fragile, e della dignità e del significato delle relazioni umane. Non c’è più tempo da perdere! La salvezza di questo tempo sta in una decisa e profetica inversione della rotta educativa, perché essa sia disegnata da una cultura rispettosa e fiera di promuovere e difendere incondizionatamente il valore della vita umana, di riscoprire il significato profondo di una sessualità vissuta con pienezza di significato, di educare all’amore non come un puro emotivismo sul quale germoglia ogni egoismo ma come scelta di spendersi e donarsi per l’altro. La Chiesa, anche la Chiesa di questa fetta di terra calabra, chiama a raccolta tutti: la famiglia, la scuola, le istituzioni, perché la battaglia educativa può essere vinta solo da tutti insieme. E chiama a raccolta tutta la nostra gente perché la tragedia di Fabiana non si esaurisca in parole di protesta, di ribellione, magari di vendetta, ma si trasformi in esperienza di prossimità verso chi soffre, di recupero e perdono verso chi ha sbagliato, portando alla luce quel senso di accoglienza e di carità che è un tratto— questo sì — caratteristico e splendido del cuore della nostra gente.»
Santo Marcianò, Arcivescovo
di Rossano-Cariati (Cosenza)