Signora Chaouqui,
chi le scrive è una Coriglianese, che PURTROPPO, non può vivere nella sua terra a causa del lavoro di suo padre.
Riporto un tratto di quanto ha scritto: “Fabiana era di Corigliano e per capire la sua vita e la sua morte atroce immaginatevi un paese arroccato di case costruite la maggior parte nel dopoguerra e mai ristrutturate,
sentite l’odore dei camini accesi l’inverno, l’unico bar nella strada principale teatro della vita sociale dei pochi rimasti, severo e insindacabile tribunale di chi vale e di chi non vale, di chi conta e chi no.” Questo che lei ha scritto le sembrerebbe il motivo della morte di Fabiana? Fabiana non c’è più a causa di un “fenomeno”, se così lo si vuol chiamare, che non conosce regione, non conosce nazione, non conosce colori, religioni e ahimè, non conosce età! Fabiana non è morta perché nata e cresciuta “in un paese con case arroccate, con il povero bar teatro dei pochi rimasti”. Si faccia un giro a Corigliano, e conti lei stessa i circa 80.000 “pochi rimasti”. Un caso del genere, che ha scosso non solo l’intera comunità coriglianese, ma tutta l’Italia, non ha bisogno di un reportage su Corigliano, o sui voti religiosi per il primogenito maschio, che risalgono a parer generale ai primi anni della guerra. Per questo mi permetto di dirle, che evidentemente lei è rimasta un pò indietro. Quello che è successo a Fabiana, accade dappertutto purtroppo. Smettiamola di generalizzare, non è Milano, Bologna o la capitale che ci rende persone migliori. Io vivo in un paese di poco più di 3500 anime (non in Calabria), non scappo, non sono mai scappata, pur avendolo voluto. La Calabria, Corigliano, non è quella di cui lei parla. Non è la terra matriarcale in cui le madri scelgono per i figli. A corigliano, mia nonna vedova a 40 anni, ha allevato da sola cinque figli, lavorando come infermiera all’ospedale del paese. Mia madre e i miei zii, hanno vissuto la loro vita. Chi ha deciso di studiare, chi di metter su famiglia, chi di andare a lavorare. Hanno deciso loro, nessuno ha preso decisioni al loro posto. E le parlo di 40 anni fa, prima che lei nascesse. La figlia femmina è stata amata, accettata e desiderata, tanto quanto il figlio maschio. Mi rammarica che la gente possa davvero pensare queste cose.
Il “severo e insindacabile tribunale di chi vale e di chi non vale, di chi conta e chi no” purtroppo, oggi, io lo leggo qui.
Elena Ricci