da http://lanuovaformica.wordpress.com/
Tempo di elezioni. Si respira aria di promesse ovunque. E intanto, fuori dai confini calabresi, anche ieri, l’ennesima discussione sulla mia Calabria. Capita sovente di ascoltare discorsi sul mio territorio colmi di luoghi comuni. La Calabria viene sempre descritta come un territorio terribilmente arretrato ove padroneggia la criminalità organizzata. Discussione che, come sempre, ha visto il suo epilogo con l’invito ai miei interlocutori ad un soggiorno nella NOSTRA terra per mostrare loro tutte le bellezze di cui godiamo.
Eppure, nonostante ciò, non posso esimermi dal voler affrontare tematiche “scomode” che certo non mi porteranno quella famigerata popolarità che tutti sembrano rincorrere, soprattutto in questo momento delicato. Sono fermamente convinto che non si possa tacere oltre su alcuni aspetti che sono propri della nostra terra. Inizio la mia riflessione partendo da un ricordo del mio vissuto. Come tutti, ho avuto l’occasione di confrontarmi con ragazzi della mia Corigliano e non dimenticherò mai il giorno in cui, raggiunto il momento della maturità, mi trovai a parlare con un mio coetaneo. Si avvicinava per entrambi il momento di scegliere il percorso che avrebbe cambiato la nostra vita. Per me c’era l’università, per lui l’idea di “iscriversi alla disoccupazione e lavorare a nero”. Quello che più mi dava da pensare di quella discussione, non erano le sue aspettative inesistenti, ma l’idea di volersi adeguare ad un sistema già marcio. A 18 anni era già entrato, forse per emulare comportamenti già visti, in un ordine di idee senza eguali. Ebbene, non mi sembra un’eresia quella di voler affrontare il tema dei tanto famigerati sussidi di disoccupazione. Come sempre, l’idea di una cosa che nasce con sani principi finisce per esser strumentalizzata e capace di mietere vittime. Il baratro dell’assistenzialismo. Ma ancor peggio, bandiera per mobilitare masse di elettori. Iscrittomi all’università, ho notato un altro dato degno di attenzione, l’effetto di quella disoccupazione dichiarata (ma di fatto inesistente): il “reddito zero”. La percentuale di chi presenta un reddito zero, e risulta quindi esser in cima ad ogni graduatoria, con tutti i vantaggi che ne derivano, è impressionante. Mi chiedevo (e mi chiedo anche oggi) come si fa, e se è analiticamente possibile avere un reddito zero. Poi, qualche anno fa (il 2010 se non erro) venne messo online l’elenco delle persone che percepivano quel sussidio, testimoniando così la vergognosa realtà. Si badi bene, non è mia intenzione creare una sterile polemica su cause ed effetti di un tale modus operandi, un discorso senza fine. Piuttosto, mi piace interrogarmi. Mi chiedo (e vi chiedo) se è una questione sociale o meramente culturale? Che ruolo gioca ognuno di noi? Che ruolo gioca in tutto questo sistema il sindacato? Siamo consapevoli di offrire questo lascito ai nostri figli? Ma soprattutto quali sono gli insegnamenti che vogliamo impartire loro? Ed ancora, ci piace davvero continuare a vivere di assistenzialismo? Siamo capaci di cambiarle le cose o siamo in attesa del Messia che venga a liberarci tutti dalle diseguaglianze? O peggio ancora, siamo in attesa del politico di turno che cercherà di tutelare quello che oggi sembra esser un “diritto acquisito”? Sono certo che nel caso in cui chi fosse preposto ad effettuare i dovuti controlli e le relative sanzioni si impegnasse davvero a debellare questo sistema, probabilmente il fenomeno sarebbe meno dilagante. Eppure, la mia riflessione vuole esser più profonda. Esige esserlo. Un richiamo alla responsabilità di ognuno e al senso civico. Non credo che il punto di partenza debba esser il “controllore”, ma noi stessi. I veri cambiamenti vengono sempre dal basso e costano sacrificio. La vera svolta deve essere, prima di ogni altra cosa, culturale. Iniziamo da subito. È tempo di votare. Guardiamo le liste e, quantomeno, cerchiamo di non portare avanti coloro che avallano questo modus operandi. Consiglieri e amici che sappiamo esser coinvolti in questo sistema. Anziché lamentarci esprimiamo la voglia di cambiamento con un dato effettivo.
Salvatore Pagnotta