Un partito che non sa scegliere le persone migliori, non è il partito migliore. Parto da questa breve riflessione per affermare che il Partito Democratico non è più casa mia, non è più la dimora delle mie posizioni ideologiche, non è più il contenitore del mio concetto di politica e di Italia.
Cerco di condividere il disprezzo per chi, in questo panorama sociale, nasce già vecchio, con i sogni avvizziti, le speranze azzoppate dalle dinamiche per contrattare privilegi.
Vi racconto la disillusione nei confronti di un partito che non rappresenta più i territori, la gente, ma soprattutto la necessità di trovare soluzioni.
Ho sentito la parola cambiamento, urlata, svenduta, apparecchiata per ogni scampagnata elettorale.
Hanno trasformato la parola cambiamento in una formula vuota, l’insalatiera da colmare per ogni buona occasione, con la subdola intenzione di ubriacarci ancora una volta, per non farci vedere, per non farci sentire, per non farci capire.
Hanno regalato al migliore offerente la parola cambiamento e mai, mai che avessero parlato di miglioramento. La politica non deve cambiare indistintamente, deve migliorare.
La politica non deve essere il rifugio dei cretini, l’orgasmo con cui si crogiolano i potenti mascherati da profeti dell’amor proprio.
Il fallimento del PD è il fallimento di un progetto arrangiato alla meno peggio col solo scopo di smacchiare un giaguaro immortale e che oggi si palesa in tutta la sua pochezza ideologica.
Un partito che nasce su una falsa base compromissoria, ma che praticamente si rivela uno scarno patto in chiave anti-Berlusconiana. Un partito che sa sempre cosa non vuole, e mai cosa vuole. Un aborto vestito da adulto. Un aborto a livello nazionale, a livello regionale e più strettamente locale. La plastificazione di una classe dirigente a bassa digeribilità, stanca, ferita, eppure arcigna nel difendere i castelli dorati su cui hanno costruito anni di potere.
E poi, all’orizzonte, l’effluvio di una nuova classe dirigente altrettanto stanca, ferita, arcigna nel mantenere le stesse dinamiche. Lungi da me qualunque generalizzazione o assolutizzazione, ma vedo giovani e nuovi dirigenti (spesso vestiti da rottamatori) cullati da vecchi padroni, allattati da faine avvedute, cresciuti da volpi ancora affamate ed infine lucidati, forgiati e presentati come figli di un’epoca nuova.
Un partito che ha rappresentato e rappresenta i facili costumi di alcuni ben pensanti, attenti solo a sottolineare il proprio dominio sul loro piccolo orticello.
Dirigenti che vedono il risultato politico come una poltrona e non come un’occasione.
Questa forse è principalmente la mia sconfitta, ma non mi sento pronto a restare in un partito totalmente incapace di ascoltare, dialogare, comprendere dove è insito il confine tra bene comune e bene proprio.
Questo partito ha una base popolare migliore dei dirigenti che la rappresentano ed è proprio alla base popolare che è fatta di cittadini critici, informati, elettori attenti e non distratti, che chiedo una riflessione, una spinta, forse una presa di coscienza sul fallimento di questo progetto politico.
Da oggi non sono più un iscritto del Partito Democratico, rassegno le mie dimissioni dal direttivo dei Giovani Democratici di Corigliano Calabro, ma soprattutto rassegno le mie dimissioni dal ruolo che avevo sognato di avere, quello di un giovane cittadino che fa politica e che insieme agli altri, attraverso un partito, partecipa al progetto del paese di domani.
20 aprile 2013
Giovanni B. Leonetti