Appare incomprensibile come, a solo dieci giorni dalla pubblicazione del documento del ministro Barca, condivisibile in tutto, ci si ritrovi a prendere in considerazione la possibilità di votare, a Presidente della Repubblica, Franco Marini.
Nel suo scritto, Barca, parlava del superamento del partito “liquido”, della costruzione, necessaria ed indispensabile, di un soggetto politico nuovo e di sinistra, radicato nel territorio, che avesse la capacità, partendo dal basso, di ridare voce al popolo di sinistra e in grado di superare lo stato “ibrido” in cui giace il PD.
55 pagine ricche di spunti di riflessione, interessante la parte in cui si teorizza l’idea che finanza ed economia debbano e possano partire anche da prospettive di sinistra, che potevano aprire la strada a riflessioni nuove su di un grande partito socialista ed europeo che coinvolgesse , partendo da percorsi “ex novo”, anche SEL ed il PSI.
Quelle pagine, contemporaneamente, chiudevano la porta alla possibile convergenza con il PDL e tacitavano le correnti democristiane presenti all’interno del PD, capeggiate da Renzi. Non un nuovismo di facciata, pronto pero all’occorrenza a cinguettare con D’Alema, non il governo a tutti costi dei Franceschini, della Bindi ecc.. Ma un cambiamento dell’anima.
Tutto, ora, messo in discussione, anzi, travolto, dalla scelta di Bersani di candidare Franco Marini.
La scelta giusta era quella di Stefano Rodotà per molteplici ragioni: personalità di sinistra, grande conoscitore della Costituzione, persona al di sopra di ogni sospetto. Uomo che avrebbe avuto la capacità di ridare, alla figura del Presidente della Repubblica, il suo ruolo originario di garante della Costituzione, rimediando all’interpretazione di un “presidenzialismo annacquato” messa in atto da Napolitano.
Stefano Rodotà, che ben prima dei grillini, era visto come candidato ideale per il Quirinale dalla sinistra diffusa, adesso poteva rappresentare il passepartout che poteva costringere i parlamentari del M5s ad affrancarsi dai deliri del comico genovese e destarsi dall’apatia parlamentare in cui sono caduti.
La scelta che Bersani sta mettendo in atto è la morte dell’alleanza con SEL; è la fine, e questo è più grave, di ogni ipotesi di cambiamento all’interno del centrosinistra italiano. Sancisce l’apertura all’inciucio con Berlusconi dando la stura ad un governo reazionario e restauratore in perfetta linea con quello precedentemente sostenuto, sbagliando ancora una volta.
SEL non voterà Marini, ma questo importa poco. SEL voterà Rodotà, questo importa molto. SEL sceglie di non accontentarsi di quel che passa il governo; sceglie di non autodistruggersi.
Appellarsi ora al buon senso, alla parvenza di un ombra di qualcosa di sinistra che ancora aleggia nei piani alti di Botteghe Oscure, è una speranza che va coltivata. Ancora di più dobbiamo appellarci alle migliaia di voci, che dall’interno del PD, dalla sua base, si stanno alzando urlando il loro sdegno.
Quello che emerge chiaramente è l’incapacità, l’inadeguatezza di Bersani ad essere leader della sinistra italiana. Poteva essere un buon presidente del consiglio, poteva essere la panacea rispetto all’ambiguità di Renzi….ma non si va oltre. Paragonarlo a Berlinguer, scusa Errico…, è troppo…ma qui stiamo per rimpiangere Achille Occhetto. Si indignino i vari Zingaretti, Civati, Orfini, con Franceschini, piccolo uomo e piccolissimo dirigente, quando afferma “abbiamo fatto un favore a SEL votando la Boldrini, ora voi votate Marini” (cos’è questo se non l’idea di una politica degna di un mercato delle vacche?) ed ricordino all’epigono di Andreotti che, come ha detto Vendola “votando la Boldrini hanno fatto un favore al Paese”. Si attivino per affiancare le migliaia di grida che si levano nel paese…Non rimane molto tempo…e di tempo, per colpa dell’inadeguatezza di un intera generazione di dirigenti del PD, ne abbiamo perso abbastanza.
Alberto Laise Coordinatore cittadino SEL Corigliano Calabro