Da piccolo capitava spesso che mio padre mi portasse in macchina a fare dei giri. Così, una volta gli chiesi: “papà, ma come fa a camminare la macchina?” E lui, molto pazientemente cercava di spiegarmi che le macchine vanno a benzina e che a sua volta la benzina deriva dal petrolio. Così, molto ingenuamente gli chiesi ancora: “ma quando il petrolio finirà allora le macchine non cammineranno più?”.
Ebbene, al di là della risposta che in quel momento diede mio padre, quella piccola domanda fatta con tanta ingenuità, ritorna a galla. Mi spiego meglio. Siamo stati abituati, da sempre, al consumismo. Ciò che sembra illimitato, in realtà non lo è. Come nel caso del petrolio. Davvero pensiamo che sia una risorsa illimitata? Tale concetto, tuttavia, non riguarda solo il petrolio, ma ogni bene che ci circonda e ogni risorsa naturale. Mi spiego ancora meglio. Anche avendo sempre tanto (pensiamo a come stavano i nostri genitori prima di noi, ma ancor prima i nostri nonni), continuiamo a soffermare la nostra attenzione su ciò che non abbiamo ancora, ma che forse potremmo avere e, quindi, che potremmo acquistare. Viviamo, in altre parole, in un sistema modellato sullo sviluppo crescente. Si produce e si produce. Ogni azienda nasce per produrre qualcosa. E ovviamente si produce perché qualcuno deve consumare. Pertanto, se il mercato è saturo di quel prodotto, sarà necessario per l’azienda avviare una campagna pubblicitaria che ci convinca che quel prodotto è assolutamente necessario per noi. Questo perché è necessario che quel prodotto sia consumato. Pensiamo anche all’infinità di costruzioni edili, catrame ovunque. Eppure costruire meno e ripensare al patrimonio esistente sarebbe un’ottima occasione per riabitarlo e viverlo in modo nuovo, un bell’esempio di non “consumismo” (inteso nella sua accezione più lata) offrendo, al contempo, il senso e la riscoperta dei luoghi. La domanda che mi pongo è: abbiamo davvero bisogno di queste cose? Se il mio cellulare funziona ancora, è davvero necessario acquistarne un altro che in più rispetto al precedente ha solo qualche piccolo accessorio insignificante. E’ davvero necessario comprare un’infinità di scarpe per star dietro la moda: un paio per il giorno, per la notte, per l’estate, per l’inverno, per la primavera, ecc. ecc.? Per le risorse naturali, ovviamente, vige lo stesso principio. Se continuiamo a consumare e sperperare, presto finiranno e consegneremo ai nostri figli un mondo che noi non vogliamo. Ma peggio ancora, distruggiamo il nostro mondo senza rendercene conto. La crisi economica ha messo in luce questa realtà. Non ho soldi, quindi non posso spenderli. Anche in tv mandano in onda servizi giornalistici dove ci si rivolge sempre più spesso all’usato e non più al nuovo. Al baratto addirittura. La crisi economica, quindi, ha il merito di averci offerto la possibilità di uscire dalla logica dello sviluppo illimitato e dalla sua necessità, la necessità del consumo illimitato. Comprendiamo, quindi, come ridistribuire le nostre risorse, quelle di cui disponiamo. La qualità della nostra vita non è direttamente proporzionale alla quantità di beni che possediamo o che possiamo consumare. Questo concetto è quello relativo alla teoria della decrescita. Teoria che sta prendendo piede diffondendosi sempre di più. Teoria in cui mi sono imbattuto e che ho deciso di proporre. Tra l’altro, ogni giorno viviamo esempi di applicazione concreta di questa teoria, senza che, tuttavia, vi prestiamo la dovuta attenzione. Due esempi su tutti: in campo alimentare basta pensare al cibo biologico, ma addirittura nel mondo bancario abbiamo la fondazione delle cosiddette banche etiche, dove non solo si pensa all’erogazione del credito, ma si offrono anche servizi finanziari senza che, tuttavia, si scada nella mera speculazione. Ma quindi, cosa rappresenta davvero il denaro? Possiamo provare ad utilizzarlo in modo diverso, magari affinché porti a tutti benessere e non a pochi?
Salvatore Pagnotta